Controlli della Polizia Municipale al Mercato Coperto di Rimini

Urbanistica on demand o partecipazione democratica?

Il caso del Mercato coperto del Centro storico di Rimini e dintorni

L’urbanistica ― intesa come programmazione e gestione del territorio nei suoi più molteplici aspetti ― costituisce la cartina di tornasole per giudicare la trasparenza o l’opacità dell’attività amministrativa degli Enti locali territoriali, Comuni, Province o Regioni. In tal senso una certa opacità caratterizza da anni il Comune di Rimini, non molto diversamente da ciò che affligge (assai raramente migliora) la qualità di molte città, e del territorio del fu Bel Paese: male comune che non ci consola affatto, ma ne parliamo per contribuire ad una indilazionabile presa di coscienza non solo locale, illustrando le vicende di una media città di provincia.

L’assessorato al territorio del Comune di Rimini, che fa di tutto per allontanare i cittadini dalla partecipazione, non può sperare di cavarsela con banali e generici proclami privi di contenuti e di proposte valutabili nelle loro implicazioni reali: proclami che non si capisce che cosa intendono occultare, ma che mostrano comunque con chiarezza l’assoluta carenza di idee, di cultura specifica e di capacità operative.

Carenze cui si cerca di sopperire utilizzando soggetti esterni creati ad hoc come “Rimini Venture”, ovvero l’agenzia per il cosiddetto Piano Strategico, un organismo di fatto privato, anche se promosso, partecipato e finanziato dal Comune: la cui competenza è spesso controversa ed i cui processi decisionali sono sconosciuti, ma servono quasi sempre per giustificare decisioni prese al di fuori da un percorso istituzionale palese; ossia per tappare la bocca a chi si permette di obbiettare, opponendo come sigillo di garanzia un vago indirizzo del Piano Strategico.

Nella situazione attuale di mancanza (o di mancata valorizzazione) di apposite ed adeguate competenze interne all’Amministrazione, è impossibile proporre alla città, e sviluppare progettualmente idee adeguate e di largo respiro, individuando tempestivamente le situazioni per le quali ormai l’esigenza di riqualificazione e riorganizzazione funzionale appare matura ed urgente: prima fra tutte quella del Mercato coperto, che nel dopoguerra fu inserito in modo ormai irreversibile nel Quadrante urbano che comprende la piazza Castelfidardo, la Scuola Panzini, l’Asilo Svizzero, l’anfiteatro romano e l’area Padane.

L’inscindibile unitarietà di questo comparto non è eludibile: come prova il fatto che a metà dello scorso decennio la Regione ne fece oggetto ― assieme ad altri due casi analoghi di Parma e Modena ― del Programma REBUS (Renovation of public Building and Urban Spaces) la cui ideazione discendeva dal progetto europeo Republic-Med: finalizzato a “sviluppare e sperimentare una metodologia per implementare nei progetti di rigenerazione urbana criteri, indirizzi, azioni e soluzioni progettuali al fine di migliorare la qualità… ”.

L’area individuata dalla Regione per questo studio riguardava esattamente tutto il quadrante sud orientale del Centro storico, compreso tra il Cardo Romano (via IV novembre – via Clementini), la via del Tempio Malatestiano lungo il Fianco del Duomo, il greto dell’Ausa e la cinta delle mura.

Fig.1 – In giallo: l’area oggetto di studio del programma REBUS (2015).

E’ la parte di città storica che nel secolo scorso ha subito le maggiori manomissioni, per le distruzioni belliche che lo rasero al suolo quasi interamente; e per le ricostruzioni assai errate del primo dopoguerra, da cui si salvò solo il Tempio, per quanto assai danneggiato, in virtù del suo prestigio. Ma non si salvò il contiguo complesso monastico di San Francesco, la cui porzione lato mare, semidistrutta dalla guerra, fu ceduta ad operatori privati, che realizzarono gli orridi condomini lungo la via Castelfidardo; mentre la parte già occupata dagli orti del Convento fu ceduta al Comune, che realizzò il Mercato Centrale coperto, edificio architettonicamente squalificato (1).

Un pezzo di città dal passato assai nobile, con una storia antica variegata lunga due millenni: il Tempio, il Convento, l’Anfiteatro Romano, gli edifici demaniali militari che occupavano l’attuale parcheggio Castelfidardo, il complesso Monastico di Santa Rita. La storia recente è più o meno tragica: dalla concessione agli svizzeri guidati da Margherita Zoebeli dell’area dell’anfiteatro (che era forse l’unica allora disponibile in una città distrutta) perché vi installassero le baracche dell’Asilo Svizzero; alla cessione dell’area di San Francesco al Comune, che per fortuna fu in parte compensata dalla buona progettazione del nuovo Vescovado di fianco al Tempio.

L’Amministrazione Comunale oggi dovrebbe tenere saldamente in pugno, dirigere e controllare la riqualificazione/rigenerazione di tutto questo quadrante: senza scorciatoie, né concessioni parziali (più o meno limpide) a gruppi finanziari certamente inadatti ad una visione d’insieme. Per questo compito molto complesso l’Amministrazione dovrebbe essere dotata di consapevolezza culturale e di capacità operativa di largo respiro, come si è detto.

Fig. 2 – Il quadrante Tempio, Santa Rita, Anfiteatro: negli anni 30 del ‘900 (Coll. Della Marchina). Si noti la rigorosa geometria dei due complessi principali: il Convento di San Francesco in primo piano ed il complesso militare che sorgeva sull’area dell’attuale parcheggio, attiguo all’altro complesso Monastico di Santa Rita, oggi sostituito dalla scuola Panzini, un edificio scolastico già pessimo quando fu realizzato, oggi esiguo, privo di dotazioni adeguate, ubicato all’interno delle mura forse in una posizione ormai da abbandonare.

Nel DUP ― Documento Unico di Programmazione 2021-23 del Comune di Rimini ― è ampiamente trattato il tema della riqualificazione del Mercato Coperto di via Castelfidardo: ma il programma è di fatto limitato al solo edificio commerciale, mentre si accenna solo di sfuggita all’esigenza di connettere questa operazione con il contesto, come se si trattasse di due realtà lontane ed estranee; ignorando che il Mercato influenza con la sua presenza tutto ciò che lo circonda, in un raggio assai vasto.

Del resto, a conferma di questa palese sottovalutazione della complessità dell’operazione, scopriamo che che il DUP prevede di ricostruire il Mercato Coperto affidandolo ad un operatore privato, senza nominarlo.

Si legge nel DUP: “ Data la complessità dell’intervento che mira non solo alla riqualificazione della struttura, ma anche dell’intera area su cui insiste il Mercato San Francesco, intenzione dell’Amministrazione Comunale è procedere mediante la finanza di progetto nella forma del partenariato pubblico-privato”. Questa affermazione è smaccatamente limitativa, perché la finanza di progetto, ossia il cosiddetto project financing (2) costituisce l’opposto di un processo complesso e partecipato.

Non solo la concessione ad un singolo operatore della ricostruzione del solo mercato coperto renderebbe pressoché impossibile la realizzazione di un programma complessivo, per quanto articolato in fasi diverse, di riqualificazione dell’intera area, ma escluderebbe del tutto la possibilità di partecipare attivamente al processo pubblico di messa a fuoco degli obbiettivi e di controllo dei risultati: che sono le ineludibili caratteristiche della partecipazione democratica ai processi di trasformazione della città.

E’ noto peraltro che la proposta di intervento cui si accenna nel DUP è stata avanzata (ma non si sa con esattezza quanto già concordata) dalla Società Renco di Pesaro, che opera principalmente nel settore “Oil & Gas”, oltre che nella costruzione di infrastrutture, ed in operazioni immobiliari/finanziarie. Si tratta della stessa società, che ha acquisito la proprietà dell’ex Corderia di Viserba, a cui il Comune ha concesso di realizzare una trasformazione urbanistica esclusivamente speculativa, priva di qualsiasi rispetto per il luogo e per la sua storia (3).

Si tratta cioè di un operatore finanziario, privo di alcuna competenza specifica in materia di interventi urbani complessi, probabilmente abituato a trattare da posizioni di forza, poco incline al colloquio e a rispettare una indispensabile visione d’insieme.

Fig. 3 – L’edificio d’ingresso della Corderia di Viserba demolito nel 2022.

Per quanto la Renco non sia citata nel DUP la proposta di affidarle la demolizione e ricostruzione del Mercato Coperto, non si sa a che titolo e se con l’assenso o meno dell’Amministrazione Comunale, ha sottoposto la propria soluzione ai più diretti interessati, i commercianti che nel Mercato operano; che inizialmente non l’hanno accolta con favore per numerosi motivi: programma temporale non ancora definito, spostamento temporaneo delle attività in una struttura precaria poco funzionale, aumento dei canoni di affitto a livelli ritenuti insostenibili per gli operatori, trasformazione di fatto del mercato alimentare in un Centro Commerciale e direzionale polifunzionale.

In particolare quest’ultimo aspetto è molto preoccupante dal punto di vista urbanistico, soprattutto in assenza di altre dotazioni: Il Centro Storico già soffre di abbandono di molte superfici commerciali già destinate al commercio di vicinato; ed altrettanto per quanto attiene agli spazi direzionali. La trasformazione ipotizzata per il Mercato creerebbe altri spazi di questo genere andando ad appesantire il Centro Storico, con un polo di attrazione che oltre a fare concorrenza agli spazi già esistenti e in parte abbandonati, andrebbe ad aggravare la già insufficiente dotazione di parcheggi e di trasporto pubblico.

L’aspetto più inquietante di questa vicenda è il ruolo marginale (ad essere gentili) che finora ha giocato il Comune, privo di qualsiasi visione d’insieme, senza nessun confronto pubblico con i cittadini; senza nessuna proposta operativa e di percorso amministrativo, se non il generico balbettio sulla finanza di progetto.

Così il compito dell’Assessorato alla pianificazione del territorio finisce per ridursi all’ “urbanistica on demand”, che consiste nell’adattare di volta in volta gli strumenti urbanistici vigenti alle esigenze proposte e concordate discrezionalmente e confidenzialmente con operatori privati: sempre coinvolgendo il Consiglio Comunale solo dopo aver conseguito l’accordo, mai preventivamente.

Come infatti sta avvenendo (per quel poco che se ne sa) per la sciaguratissima vicenda dell’area della mancata nuova questura. Pur stendendo un velo pietoso sulla storia ormai trentennale che portò a questa incredibile debacle, resta la responsabilità di non aver mai aperto un processo di pianificazione specifica per quest’area, cerniera tra la zona dello Stadio e la grande viabilità, tra il centro e la zona strategica del Centro Studi e dell’Ospedale.

Invece niente: il Comune non sa che farsene, dichiara di ignorare chi siano gli acquirenti (ossia di chi, a suo dire, avrebbe sborsato preventivamente la bellezza di 14 milioni di euro senza preoccuparsi di conoscere le intenzioni del Comune!).

Adesso che finalmente si sa che l’acquirente è una delle più grosse catene di grande distribuzione, l’Amministrazione invece di cominciare almeno a porre dei paletti, si limita a dichiarare che aspetta la proposta che l’acquirente farà per esprimersi nel merito. Pur ammettendo che le cose stiano davvero così, è gravissimo il fatto stesso che il Comune non abbia mai avanzato alcuna ipotesi in proposito, né durante i lunghissimi anni dell’abbandono e del degrado né adesso: ma continui a giocare di rimessa sulle proposte dell’operatore privato.

Solo la volontà e la capacità politica, culturale e tecnica dell’Amministrazione pubblica possono garantire davvero il rispetto e la soddisfazione dell’interesse collettivo della città: per affrontare con competenza i programmi di trasformazione / rigenerazione urbana, senza ignorare, aggirare o mortificare la loro complessità; operando in prima persona con il proprio apparato, sopperendo alle eventuali carenze anche con nuovo personale, al fine di non dover abdicare al proprio ruolo; senza affidare le proprie responsabilità di programmazione alla supplenza di operatori che possono svolgere solo un ruolo parziale, limitato al proprio legittimo interesse, cui tuttavia non può essere affidata la tutela degli interessi collettivi.

Senza dimenticare che queste volontà e capacità debbono attuarsi coinvolgendo tutte le rappresentanze cittadine, a cominciare dal Consiglio Comunale nel suo complesso.


Note

1. Lungo la via IV novembre esiste una porzione dei ruderi del Convento, tuttora di proprietà comunale, che non fu utilizzata al momento della realizzazione del mercato coperto, né mai ricostruita.

2. Il cosiddetto Project financing è una procedura nata per realizzare grandi opere monotematiche (un’autostrada, un metanodotto, un ponte) che possano essere finanziate tramite una tariffa d’uso permanente. Nei decenni scorsi è stata proposta scriteriatamente ad alcuni Comuni, per realizzare opere pubbliche non a tariffa continuativa. Alcune sciagurate amministrazioni la adottarono andando incontro a disastri finanziari irrimediabili (la nuova stazione FS di Parma, il secondo lotto dei parcheggi interrati del lungomare di Riccione, ecc. ecc. ecc). Del resto è una procedura che in nessun caso può applicarsi ad un programma complesso di rigenerazione urbana, in cui l’Amministrazione Comunale deve svolgere un ruolo di guida delle finalità collettive e di controllo degli esiti.

3. La Corderia, demolita di recente in base al piano particolareggiato approvato e convenzionato con il Comune, era un bell’edificio modernista di archeologia industriale che costituiva una ormai rara testimonianza delle attività produttive legate al mare, un tempo numerose nel nostro territorio. La vasta area verde circostante è delimitata a nord dall’ansa del Fosso dei Mulini, che nel corso dei secoli qui ha modellato il terreno con collinette che non ti aspetteresti, rendendolo unico nel panorama costiero. Il rispetto complessivo di quest’area, ed il mantenimento dell’edificio industriale, erano prescritti espressamente nell’ormai antico Piano Regolatore del 1994: prescrizione redatta personalmente da chi scrive, che in seguito fu cassata ad opera delle successive gestioni urbanistiche degli ultimi due decenni. Così l’edificio è stato demolito, e nell’area delicatissima circostante si costruiranno numerosi condomini. Soltanto un’esigua parte residua dell’area sarà destinata a verde, nella quota minima dovuta per legge a fronte della grande operazione immobiliare.

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