Le rappresentazioni popolari della Settimana Santa, per chi ha visto anche solo una volta una processione in un paese del Sud, con le sue statue sanguinanti e le braccia della Madonna Addolorata agitate dai bastoni degli inservienti, sembrano più macabre feste di morte che di risurrezione. Io le ho vissute, tanti anni fa, nel paese originario di mia madre, ad Aradeo, in provincia di Lecce.
Devo dire che nei miei ricordi di bambina quelle immagini così strazianti mi creavano un certo disagio, in fondo dal dolore così come dall’orrore di certi volti, cerchiamo sempre di fuggire.
Qui al Nord, scafati come siamo, ci vergogneremmo come cani a indossare i bianchi zinaloni da penitenti, seguiremmo i carri allegorici con piadina e prosciutto in mano e invece di fare lamenti sghinazzeremmo come ubriachi. Eppure….
Eppure Rimini pullula di profughi ucraini, quadri viventi del dolore per una sorte imprevedibile che si è abbattuta su di loro strappandoli alla propria terra e spesso alle loro famiglie: sono loro la Sacra Rappresentazione di questa Settimana Santa. Anche se noi “spettatori” cinici non sappiamo bene se sia realtà o finzione quella che il loro Paese sta vivendo, a causa delle troppe mediazioni interessate, una cosa è certa.
Gli ucraini che girano per Rimini in questa processione Pasquale sembrano usciti come per andare a fare la spesa e non si capacitano di essere stati travolti dal turbine di una guerra letteralmente “anacronistica”, fuori dal tempo, che sembra sempre un pelo più in là, oltre la linea dell’orizzonte, un filo di fumo nero, un bagliore in lontananza.
I morti che si intravedono dai carri delle confraternite televisive dei vari TG, semisepolti nelle fosse comuni, un piede, una mano che sbuca dal terreno con le unghie laccate, appunto, sono la nostra Settimana Santa reloaded.
Abituati a “dissacrare” ogni cosa ci è difficile pensare a una Risurrezione dalle morti inutili di questa guerra assurda. Ma questa è la forza della Fede: attraverso ciò che sembra “finzione” si percepisce “il vero”.