Siamo in pieno “compleanno” di Fellini ― Auguri Federico! ― ma francamente in giro si nota più la tardiva impronta digitale dell’ex sindaco sul grande parco tematico dedicato al Maestro riminese, che non un reale clima di festa.
L’immaginario felliniano aleggia, è vero, letteralmente, sulla città. Lo percepite ovunque, non solo addentando un panino dedicato ai suoi personaggi.
Ma è un’ombra sinistra. E’ nell’aria che respirate. Strofinate coi piedi il selciato della grande arena, come Aladino la sua lampada magica e subito Federico appare, a dispetto del fatto che abbiate visto o meno, che vi siano piaciuti o meno, i suoi film.
Amarcord è qui, o per meglio dire qui è l’originale, archetipo collettiva penetrato fin nei pori più reconditi delle nuove generazioni che certamente non l’hanno incontrato passeggiare di notte assieme al suo amico Titta, quando ancora gli aperitivi e i calici di spritz non avevano ancora invaso, strappandole alle auto, le carreggiate di quello che una volta era solo “un borgo”… E la notte era più buia di ora.
I suoi film forse non piacciono, né ai giovani né ai vecchi, ma gli “spot” ispirati a Fellini, come cammei di moderni youtuber, blog visuali, piacciono da matti: lo zio matto che da in cima all’albero grida “Voglio una donna!”, la suorina nana che gli sussurra “vin zo’, pataca!”; l’Anitona alla Fontana di Trevi, insomma tutta la summa dell’immaginario felliniano, a partire dal rinoceronte divenuto un “logo”, è trasformato in un identikit riminese, patrimonio collettivo imposto viva forza alla città.
Federico, che era un genio, sapeva bene che il suo destino era quello di diventare, oltre che un aggettivo, un “pretesto” per creatività di tutti i generi che a lui si riferiscono, onirico gioco delle freccette tirate sul bersaglio del suo faccione. Questo fenomeno inizia in realtà con Fellini ancora vivo e vegeto (basta vedere le sue insofferenze in Intervista).
Viene da pensare che lo dichiari pubblicamente, con la condanna che gli viene inflitta nel dopo ― morte del film fortunatamente mai girato, quel Mastorna che sempre ritorna, sulla terra ― perché non c’è altro paradiso (o inferno), per lui, col suo violino nell’astuccio, obbligato a suonare all’infinito la stessa musica in una prova d’orchestra sgangherata, mentre il mondo crolla sotto i colpi del virus e non solo.
Ma certo non poteva immaginare, Federico, che sarebbe diventato addirittura l’impronta urbanistica della città che per tanti anni lo aveva snobbato e che ancora oggi, lo subisce, più che farne un vero “concittadino”.
Sarà forse per una di quelle strane coincidenze che assumono la valenza del “segno” che giunge al Cinema Fulgor, fuori programma, come pacco regalo di questo compleanno “povero”, lo “strano” film che definiremmo “autobiografico”, di una giovane regista esordiente, Catherine McGilvray, che si intitola, appunto, Fellini e l’ombra.
Resto del menu, al Cinema Fulgor, il già visto e garbato Fellinette di Francesca Fellini Fabbri, autobiografico anch’esso. E quasi solo come condimento d’obbligo, la spruzzata dei suoi film “sine glossa”, di fronte a una misera platea di due fila che simbolicamente rappresenta il ruolo del cinema dentro il colossale Fellini Museum, il cui logo è giustamente l’emersione di una “M” gigantesca rispetto alla “F” lasciata in secondo piano.
Scrivi a Federico…
Ci piacerebbe molto, invece, che i riminesi scrivessero una loro “cartolina a Federico”, imbucandola non al cimitero dove troneggia la grande prua di Arnaldo Pomodoro, in ricordo di E la nave va, ma nella buchetta di questo modesto blog.
Una cartolina al “disperso fra i dispersi”, sottratto al marketing che lo tiene imprigionato, per farlo sentire davvero, finalmente, a casa sua. La potete inviare qui, sulla nostra pagina Facebook…