Siamo nell’anno 2018. Facebook, il social media per eccellenza, vive un anno terribile a causa del caso “Cambridge Analytica”, Harry e Megan celebrano il loro Royal Wedding a dispetto di differenze e imposizioni regali, dodici bambini thailandesi rimangono intrappolati in una grotta, e, per fortuna, riescono a salvarsi.
L’anno poi prosegue con Trump e Kim che passano dalle reciproche minacce di guerra nucleare a una stretta di mano per la pace, Silvia Romano viene rapita in Kenya. Nel frattempo in Europa nasce il primo governo populista e proseguono i negoziati per la Brexit. Aretha Franklin, la regina della soul music, ci lascia.
E’ un anno un po’ strano. Mentre cerco di non venire sopraffatta dalle notizie negative che giungono dal mondo, inizia a germogliare in me l’idea di creare un libro sulle parole che fanno del bene. Perché?
Semplice. Sono una persona che parla poco, preferisco osservare, ascoltare, scrivere. A un certo punto di quell’anno 2018 mi fermo a osservare cosa succede attorno a me: le persone, le loro azioni, le loro gesta, le mie. Realizzo che l’ascolto è una delle pratiche più difficili da realizzare, ancor più in una società che non si ferma mai. Ripenso a quanta strada abbia fatto l’Uomo dalle sue origini fino al 2018.
Nel lungo cammino della nostra evoluzione abbiamo fatto diverse scoperte: alcune essenziali come il fuoco, alcune utili come la ruota e la penicillina, altre molto meno utili, se non terribili, come la bomba atomica.
Nella ricerca della soddisfazione dei nostri bisogni, del senso della felicità e dell’ipotetica perfezione abbiamo fatto passi da gigante e non ci siamo più fermati: industrie, scienza e tecnologia, grandi case, grattacieli, abbiamo creato ogni tipo di comfort. Ci siamo abituati ad andare talmente veloci che fermarci sembra quasi impossibile. Non è forse vero?
Quando è stata l’ultima volta che ti sei fermata per darti il giusto respiro? Quando è stata l’ultima che ti sei fermata ad ascoltare la Terra? Quando è stata l’ultima volta che ci siamo fermati ad ascoltare gli altri?
Quante volte è capitato di entrare in ufficio e non ricevere neppure un saluto, di salire su un autobus, sedersi e non incrociare lo sguardo di nessuno, di vedere la gente immersa in una vita sempre più frenetica e neanche un minuto per un sorriso? Sono queste le domande che mi risuonano ancora e alle quali cerco di dare una risposta.
Decido di fermarmi, di ascoltarmi.
Abbiamo dato il via a inutili guerre, creato confini reali solo nella nostra mente, abbiamo perso l’abitudine di comunicare tra vicini di casa, di conoscerci veramente. Abbiamo perso l’uso delle parole, quell’uso che abbiamo conquistato tanto tempo fa, assieme al fuoco e a quel senso di stare insieme.
Chissà se riusciremo a recuperarlo, penso fra me e me. Scopro che la mia è una ricerca di parole e gesti dimenticati, il desiderio di colmare un bisogno, forse, non solo mio. Prendo carta e penna e rifletto sulle parole che mancano, sia nella nostra vita professionale che personale.
Inizio così un viaggio alla riscoperta del tempo e dell’attenzione verso gli altri, di parole che abbiamo bisogno di sentirci dire, che supportano gesti desueti, parole che mi sono state insegnate da bambina ma, anche in me, sono andate perse.
Ne seleziono alcune, secondo me essenziali e decido di coinvolgere in questo progetto l’artista e amico Nicola Grotto. Apprezzo la tecnologia e ho principalmente un background professionale nel mondo della comunicazione e del digitale. Amo anche la carta e il mio desiderio è quello di creare un progetto fisico che unisca parole e immagini.
Nicola vive e lavora a Pramaggiore, in provincia di Venezia. Dopo aver concluso gli studi superiori a Portogruaro e aver frequentato il corso di laurea in “Arti visive e dello spettacolo” a Venezia, decide di dedicarsi alla passione che lo accompagna fin da bambino: il disegno.
Autodidatta, amante della street art, intraprende un percorso che lo porta, negli anni, a esprimersi artisticamente attraverso il ritratto. Nicola è l’artista perfetto con cui collaborare, per creare le illustrazioni che accompagneranno parole e riflessioni del libro. Sono felice del suo entusiasmo, le sue opere rappresentano lo stile di immagini che voglio inserire.
Le parole possono tutto: possono essere muri o finestre, possono ferire o guarire, possono cambiare le persone, il mondo.
Mentre Nicola si occupa delle illustrazioni mi chiedo perché fermarsi solo all’italiano? In fondo sono parole conosciute dall’umanità intera. Inizio a parlare del progetto anche ad altre amiche e amici, in giro per il mondo e chiedo per alcune traduzioni. E’ per me l’occasione di scoprire lingue classiche come il greco; moderne come l’inglese, il francese; antiche come il cinese, l’arabo; importanti come lo swahili; quasi dimenticate come il changana.
Mi affido alle ragazze dell’agenzia Le Maus di Reggio Emilia, per la progettazione del libro e ad una campagna di raccolta fondi, per coprire le spese di produzione. Il sostegno è tanto! E’ bello vedere gente che crede ancora nel potere magico delle parole. Vado alla ricerca di costruttori di comunità, nascono così le parole dell’umanità.
Speranza, amore, ciao, benvenuto! E poi ancora grazie, aiutami, pace, provaci. Unico, bellezza, perdonami, sorridi, luce. Senza dimenticare gentilezza, educazione, rispetto, coraggio, umiltà, dignità, empatia. Ti ascolto, vivi davvero, futuro, restiamo umani.
Ventitré parole da pronunciare ogni giorno, o in occasioni speciali, parole che vorremmo sentirci dire o che vorremmo avere il coraggio di esprimere. Ventitré parole ed espressioni tradotte in ventiquattro diverse lingue del mondo, accompagnate da illustrazioni fatte a mano e da una breve riflessione sul loro significato. Sono parole semplici, gratuite a cui pensare in ogni momento, parole sul valore delle quali riflettere. Ubuntu. C’è un legame di condivisione che unisce l’umanità, ciò che siamo oggi è il frutto della vita di un’infinità di altre persone.
In ogni parte del mondo siamo capaci di dire queste parole, comprendiamo il loro significato nonostante le nostre differenze. Le lingue possono sembrare dei muri, ostacoli insormontabili legati alle differenti tradizioni. C’è però una lingua che siamo o dovremmo essere tutti capaci di comprendere: quella del cuore, dell’umanità. Questa è una lingua universale che ci aiuta a stare bene nel mondo, ad avvicinarci all’altro, a scoprirlo, a conoscerlo.
Perché proprio queste parole?
Il libro, pubblicato dalla casa editrice People nel 2020 e destinato a grandi e piccini, è un memorandum delle parole dell’umanità, di quelle piccole espressioni che ci hanno insegnato quando eravamo bambini ma il cui valore, crescendo, abbiamo forse dimenticato. Piccole azioni da riscoprire, gesti che fanno stare bene noi e gli altri. Allora, perché proprio queste parole? Semplice, non credo si possa costruire sane relazioni fra gli esseri umani, e la Terra stessa, senza di esse.
Prendiamo ad esempio le parole “ciao” e “benvenuto”. “Ciao” è la prima parola italiana che ho imparato, nel lontano ‘92, appena atterrata per la prima volta nel Bel Paese. Dare il benvenuto è una buona pratica e il principio base che ho ereditato dalla mia terra natia, il Senegal, conosciuto anche come il Paese della Teranga, l’arte dell’accoglienza.
Salutare è il primo modo per stabilire una relazione, di creare legami e connessioni con il mondo, con chi ci troviamo davanti, ma non sempre riusciamo a farlo. Eppure, se rallentiamo un po’ e proviamo ad essere meno prevenuti, sono sicura che il tempo per un saluto e perché no, per dare il benvenuto a uno sconosciuto, accoglierlo, tendergli una mano, offrirgli un pasto caldo e un riparo sicuro, lo troviamo.
Quante parole conoscete che rimandano l’eco di dolcezza e benessere sia per chi lo riceve, sia per chi lo dice? Grazie è una di quelle. Quando diciamo grazie mettiamo la persona al centro di tutto. Ringraziare è un’arte che racchiude in sé bellezza, piacere, umiltà, gentilezza, autenticità. Aiutare e essere aiutati è la cura delle relazioni. Dovremmo regalarci, oltre a tutto ciò, anche una vera e naturale terapia del sorriso, una vitamina da somministrare, possibilmente tutti i giorni. Il sorriso è un linguaggio universale: non importa in quale parte del mondo ci troviamo, in essa raccoglieremo un invito a instaurare una relazione.
E, oltre a regalare sinceri sorrisi, impariamo anche a donare rispetto, impariamo a conoscere e riconoscere il valore dell’altro e delle cose, la loro dignità. Educhiamoci a prestare attenzione agli altri, accorgiamoci di non essere soli. Come? Ascoltando, non basta più il solo sentire.
Si organizzano tante formazioni per imparare a parlare, stupire in pubblico ma avete fatto caso alla presenza di qualche corso che insegni ad ascoltare? Siamo abbastanza coraggiosi da farlo? E, a proposito di coraggio, sappiamo ancora essere uomini e donne di coraggio o quello l’abbiamo lasciato agli eroi di un tempo? “Coraggio” è una di quelle parole belle che dovremmo sempre tenere con noi in tasca, come il pane in casa. Sapete da dove proviene? Dal provenzale corage, derivato dal latino cor, “cuore”. Ecco, quando parlo di coraggio non mi riferisco a imprudenza, spavalderia o violenza, ma a qualcosa di puro, che parte da noi e che diventa poi esemplare per gli altri.
Non parlo di chi alza la voce, addirittura le mani, ma di chi decide di essere libero, sceglie di fare la cosa giusta. Di questo si tratta, agire con il cuore. Abbiamo ancora il coraggio di dire, fare, donare e perdonare, avere fiducia, il coraggio di assumerci le nostre responsabilità verso gli altri, verso la nostra meravigliosa Terra, il coraggio di essere unici, di osare, di sognare, di vivere davvero? Già, perché la vita è la cosa più straordinaria che esista e a malapena ce ne accorgiamo. Sappiamo riconoscere ancora la bellezza? Sappiamo meravigliarci ancora dinanzi alle varie, piccole, grandi bellezze che la vita ogni giorno ci offre? Proviamoci!
Parlare di pace in questi tempi è qualcosa di veramente difficile ma essenziale da fare. La pace è il bene più grande al quale l’umanità possa aspirare, più prezioso di milioni di lingotti d’oro, più importante forse dell’immortalità. La pace non si possiede, ma si costruisce, attimo dopo attimo. È come una fiamma, calda, avvolgente, da tenere sempre accesa, perché senza, cadremmo in un baratro di oscurità e freddezza.
Ogni giorno dovremmo essere tutti ambasciatori di pace, gridare in tutte le lingue, più forte e più lontano che possiamo, queste due sillabe, potenti e dolci allo stesso tempo. Diffondiamo pace e amore. Puro amore. A volte, questa forza travolgente e potente, può far paura, forse perché è l’unica energia dell’universo che l’uomo non ha imparato a manovrare a suo piacimento. E forse questo è un bene. Credo, siamo un po’ come lucciole, buoni portatori di luce per noi e per gli altri. Illuminiamo questo mondo con buone azioni, diffondiamo amore, di qualunque tipo.
Mi piace pensare che questo piccolo progetto educativo e artistico possa avere il potere di risvegliare gli animi, rispolverare sentimenti e valori. Un desiderio ambizioso, penserà qualcuno. Io invece penso che sognare non guasta mai e, anzi, che se siamo in tanti a farlo per la stessa cosa, poi diventa realtà. Basta poco per creare cose belle: un semplice libro, una cena multietnica, una mostra d’arte, momenti di silenzio e di dialogo condivisi.
Forse in questi tempi di diffidenza, di violenze, di crisi, di disastri e malattie abbiamo ancora bisogno di riscoprire alcuni valori, alcune espressioni che ci aiutano a sentire di più. Torniamo all’umanità con quello che di più umano abbiamo: le parole.
Il racconto di Nicola Grotto, autore delle illustrazioni del libro
«Ho sempre pensato che a volte ci vuole anche una buona dose di fortuna e casualità per incontrare la persona giusta al momento giusto o per ottenere il posto di lavoro desiderato oppure per raggiungere l’obiettivo che ci eravamo prefissati.
A distanza di un anno dall’uscita del libro “Le parole dell’umanità”, e ripercorrendo col pensiero la strada che ci ha portati fino a qui, mi sono convinto che la fortuna non c’entra e niente succede per caso. Non è un caso infatti che tutto abbia inizio in un luogo che valorizza l’incrocio di culture e mondi, in apparenza, lontani tra loro.
Un luogo che favorisce incontri, incroci di persone, delle loro storie e delle loro idee (e cosa c’è di più arricchente che uno scambio di idee?). Questo luogo è il Festival “Ritmi e danze dal mondo”, a Giavera del Montello, ed è qui che ho incrociato la mia strada per la prima volta con Aida.
Non ricordo di preciso il momento ma ricordo bene lo spirito fraterno che c’era, l’aria di libertà e di scambio reciproco che si respirava, la stessa poi che ci ha accompagnato nelle successive collaborazioni fino ad oggi.
Aida era ― ed è ― un vulcano di idee, di progetti e di tenacia nel portarli a termine, io molto meno pragmaticamente, cercavo di comunicare, sensibilizzare e trasmettere emozioni nell’unico modo in cui ero capace: dipingendo. Due personalità diverse, ma perfettamente intersecabili, con idee comuni. Sembra un caso vero?
Sono autodidatta ma dipingo e disegno da sempre, e da sempre sono affascinato dalle persone, dalla bellezza di tutti quei particolari che ci distinguono e rendono unici. Fin da piccolo mi è sempre piaciuto guardarmi attorno e fantasticare, immaginare le storie degli sconosciuti che incrociavo, semplicemente osservandoli, notando un espressione, un sorriso, uno sguardo triste o felice che fosse.
Non a caso infatti negli anni ho scelto il ritratto come forma artistica per esprimermi.
Credo che si possa trasmettere molto attraverso uno sguardo, un’espressione, un particolare. Amo particolarmente ritrarre persone comuni, in particolare i bambini perché è tutto molto istintivo, non c’è finzione nelle loro emozioni.
Stupore, curiosità, meraviglia per la scoperta sono alcune caratteristiche peculiari dei bambini, ma fondamentali anche nella vita di ognuno di noi e in particolar modo per un artista. Cercare di trasmettere tutto questo nei miei dipinti è il mio obiettivo.
Quando Aida mi ha proposto di illustrare “Le parole dell’umanità”, ho trovato il contenuto del libro perfettamente in sintonia con quello che è il mio pensiero ed il mio modo di dipingere.
L’apparente semplicità delle parole contrapposta alla profondità del loro significato, che molto spesso sottovalutiamo o diamo per scontato, mi è sembrata una metafora perfetta della società in cui viviamo, dove spesso giudichiamo le persone troppo facilmente, sottovalutandole, senza appunto conoscerle e conoscere la loro storia.
La magia di parole che, nonostante vengano pronunciate in modo diverso, hanno lo stesso significato, suscitano la stessa reazione nell’ascoltatore e in chi le pronuncia, da Roma a Pechino, da Bogotà a Dakar, da Oslo a Bagdad. Parole che ci fanno capire che in fondo non siamo poi così diversi.
Inoltre, non essendo un illustratore, ho potuto interpretare artisticamente le parole mantenendo completamente il mio stile pittorico, realizzando quindi 23 tele, una per ogni parola, le cui fotografie sono riportate nel libro.
Non è certo stato un compito semplice, non è da tutti i giorni riflettere e interpretare parole come “empatia”, “ vivi davvero” o “bellezza” (per citarne alcune) ma la totale libertà e fiducia di Aida nei miei confronti mi hanno permesso di svolgere al meglio il mio compito. E poi mi ha sempre affascinato l’idea di creare immagini semplici, dirette, immediate agli occhi dello spettatore, ma che in seconda battuta possano far riflettere, portare a un’interpretazione più profonda e personale. L’andare oltre all’apparenza.
Il caso? Difficile dire che non esista, ma in qualche modo mi andavo convincendo che gran parte di quel che sembra succedere “per caso”, siamo noi che lo facciamo accadere; siamo noi, che una volta cambiati gli occhiali con cui guardiamo il mondo, vediamo ciò che prima ci sfuggiva e per questo credevamo non esistesse. Il caso, insomma, siamo noi. – Tiziano Terzani
Certamente, un ulteriore aiuto, è dato dalla trascrizione del significato da vocabolario di ogni parola, dalle traduzioni in ben 23 lingue ma soprattutto dalla sensibilità delle riflessioni di Aida, che descrivono ogni parola, creando il mix perfetto tra immagini e parole.
Insomma un progetto che è sembrato in controtendenza rispetto ai tempi in cui viviamo, e proprio per questo affascinante. In controtendenza perché viviamo un momento storico mai così evoluto scientificamente e tecnologicamente.
Un momento in cui si è passati dal dominare la tecnologia all’esserne dominati e condizionati, trascurando via via la nostra componente più importante: l’umanità.
Portiamo ancora fresche su di noi le cicatrici di una pandemia che stiamo ancora attraversando, che ci ha segnato profondamente, che ha spazzato via le nostre certezze e anziché renderci più uniti contro un nemico comune, ci ha isolati, evidenziando maggiormente le nostre differenze, le nostre paure e la nostra fragilità, la nostra poca umanità.
Cercando di riassumere il tutto: un luogo che valorizza le diversità, porta ad un incontro e ad un conseguente scambio di idee e capacità, che fanno nascere un libro di immagini e parole, che esce in uno dei momenti storici più difficili che l’umanità abbia vissuto, come fosse un manuale d’istruzioni per ricordarci e insegnarci, se mai l’avessimo scordato che a volte basta fermarsi un attimo, per accorgerci di quanto siano belle le piccole cose, le piccole azioni, le parole semplici, insomma la nostra umanità. Sembra davvero una casualità, vero?».
Le fotografie di apertura
“Le parole dell’umanità” viaggiano. Visitano scuole, associazioni, eventi, in Italia e all’estero. Le fotografie di apertura sono tratte da “Preghiera per i corpi”, un evento organizzato dal collettivo Movimento Centrale – Danza e Teatro presso il Lapidario di Rimini. Durante la performance, le parole del libro sono state prima scritte dall’artista calligrafa ― Concetta Ferrario ― e poi regalate al pubblico dal coreografo Claudio Gasparotto, ideatore dell’evento.