Per fare un buon ospedale ci vogliono decenni, per distruggerlo basta un attimo”: sono i luoghi comuni imperanti nella cultura delle organizzazioni sanitarie ma che ben rappresentano, sinteticamente, le verità sottese al rapporto fra una Comunità urbana e la sua Sanità di pertinenza.
Lo straordinario cambiamento, dagli anni novanta in poi, della sanità riminese e del suo ospedale non ha motivazioni ascrivibili solo ai buoni manager che ha avuto (ce n’erano anche prima, qua e là); ma è stato il frutto del processo di aziendalizzazione sanitaria, ovvero dei finanziamenti a quota capitaria introdotti con le riforme del ’92 e ‘99.
All’epoca Rimini aveva una forte mobilità passiva: i cittadini preferivano curarsi presso gli ospedali di Bologna, di Cesena ed altri ancora. Pertanto perdeva milioni di lire, in quanto sosteneva non solo i costi del proprio ospedale (a cui i cittadini facevano poco riferimento), ma anche quelli delle prestazioni che i riminesi effettuavano presso le altre USL.
La città era attenta alla sanità locale fondamentalmente solo per le emergenze e le urgenze: pronto soccorso e ambulanze per i turisti, gestione delle strutture ricettive. Per il resto ai riminesi non dispiaceva andare fuori a curarsi, era figo e la maggiore stagionalità dell’attività lavorativa locale lo consentiva.
Gli anni ’90 portano grandi trasformazioni, complice anche il susseguirsi di direttori generale , manager di ottima scuola che hanno l’obiettivo di “far quadrare” il bilancio economico dell’Ausl. Si spezzano i legami di sudditanza con le università, si acquisiscono professionisti e primari di ottima “fattura” e in 10-15 anni riescono a strutturare la sanità ospedaliera riminese come fiore all’occhiello della Provincia.
I riminesi ne sembrano consapevoli e, per quanto non siano proprio amorevoli verso le proprie strutture sanitarie come meglio fanno i cittadini delle altre città romagnole (ma questa è un’altra storia), utilizzano comunque la sanità locale e soprattutto ne percepiscono la qualità. Aumenta il cosiddetto “Indice di dipendenza” dei cittadini verso le strutture locali e si risana il bilancio.
Dal 2013 si costituisce l’AUSL della Romagna e il fenomeno della mobilità fra le strutture è chiaramente superato nel senso che per l’Ausl Romagna non c’è più alcun onere economico aggiuntivo derivante dalla mobilità dei cittadini riminesi verso gli ospedali delle altre province romagnole: se l’ospedale di Forlì è un’eccellenza per la chirurgia oncologica e altro (Hub)(1) o l’ospedale di Cesena è punto di riferimento per i traumi, (Spoke) ecc., tutti i romagnoli si cureranno, per queste patologie là dove c’è più expertise; e per l’Ausl non c’è alcun onere aggiuntivo.
Dopo trent’anni di riminesità acquisita sul campo, mi viene da dire che la Sanità non è un gioco da “pataca” come spesso è invece parso anche in anni non lontani. E qui, il carattere romagnolo e Fellini c’entrano davvero poco.
In una visione realistica dell’assistenza, é evidente che un professionista di spessore, un chirurgo, un cardiologo, un nefrologo, un rianimatore ecc. tenderà a lavorare nel relativo Centro di eccellenza per soddisfare le giuste e anzi indispensabili ambizioni che connotano i sanitari; e lo stesso avviene per gli infermieri, i biologi, e in generale per tutte le professioni sanitarie. La performance in sanità è dunque frutto dell’equilibrio fra servizi multi professionali. Non esiste una buona chirurgia se non è sostenuta da una buona rianimazione, da una eccellente diagnostica e quant’altro.
E’ chiaro che il modello della concentrazione della casistica in centri Hub e Spoke(1) è un valore aggiunto per i cittadini per le maggiori opportunità offerte. Il sistema è infatti promosso da tutti gli organismi nazionale e regionali. Appare allora determinante l’equilibrio fra le strutture Hub e Spoke negli ospedali della Romagna, con le specifiche relazioni fra le strutture, le interfacce per l’accesso dei cittadini, la distribuzione dei centri Hub negli ospedali di riferimento.
Per molti aspetti, poi, l’Ospedale, è anche un’opportunità di sviluppo economico ed occupazionale del proprio territorio. Per questo il CTSS (la Conferenza Territoriale Sociale e Sanitaria), organismo di governo delle politiche per la salute e il benessere sociale, a cui partecipano le amministrazioni comunali, la direzione dell’Ausl e parti civili, è il luogo deputato della concertazione delle politiche sanitarie e di equilibrio fra i vari ambiti provinciali della Romagna.
Appare dunque evidente la ragione per la quale l’Amministrazione Comunale di Rimini, al pari di quello che fanno da tempo i sindaci delle altre città capoluogo della Romagna, deve riservare alla organizzazione e alle performance delle proprie strutture sanitarie, in quanto parte d’interesse (stakeholder) nell’equilibrio complessivo della rete Hub & Spoke e nella conseguente allocazione delle risorse in Romagna.
Per fare questo c’è bisogno di implementare, un processo di alfabetizzazione della sanità ― la cosiddetta public health literacy (2) ― sia per l’amministrazione comunale che per i cittadini. In un momento di grandi cambiamenti degli assetti organizzativi (anche conseguenti alle problematiche poste dalla pandemia e alla promessa, si spera, di iniezioni di nuove ingenti risorse economiche), non si può procrastinare o peggio, sottovalutare la necessità di una vera e propria educazione politica e culturale alle tematiche sanitarie.
Dopo trent’anni di riminesità acquisita sul campo, mi viene da dire che la Sanità non è un gioco da “pataca” come spesso è invece parso anche in anni non lontani. E qui, il carattere romagnolo e Fellini c’entrano davvero poco.
(1) Il modello Hub & Spoke (letteralmente “mozzo e raggi”) è un modello organizzativo, preso in prestito dall’aviazione civile americana, che parte dal presupposto per cui determinate condizioni e malattie complesse necessitano di competenze specialistiche e costose. Non possono quindi essere assicurate in modo diffuso e capillare su tutto il territorio.
(2) public health literacy: “la condizione attraverso la quale individui e gruppi possono ottenere, processare, comprendere, valutare e mettere in pratica le informazioni necessarie, per rendere le decisioni di sanità pubblica utili per la comunità” (Freedman 2005).