Il consumo della prestazione che non ha prodotto benessere richiama, anzi esige un’altra prestazione, più invasiva, più dirimente, più costosa, sempre più, più, più, in quel circolo vizioso del meccanismo domanda-offerta che mal si addice al contesto sanitario.
Da circa due decenni la “lista d’attesa”delle prestazioni ambulatoriali è stata assunta quale indicatore di equità e trasparenza dell’accesso dei cittadini ai servizi sanitari in tutto il territorio nazionale.
Era il 2009 quando il Ministero della Salute pubblicò le prime linee guida per le prenotazioni ai Centri Unici di Prenotazione (CUP) affinché il libero cittadino si recasse al “mercato” delle prestazioni offerte dalle varie strutture di produzione e ne “acquisisse il necessario”, prescritto dal proprio curante per la patologia o sospetto diagnostico in causa.
Sistema apparentemente impeccabile, evoluto nel tempo, fino ad entrare nelle case dei cittadini (CUPWeb), nei territori più prossimi al cittadino (Farma CUP) o semplicemente attraverso un contatto telefonico dal proprio cellulare (CUPTel).
L’intenzione era buona – la domanda incontra l’offerta e il connubio produce salute.
Per molti cittadini, l’idea di accedere al CUP e procurarsi prestazioni sanitarie ha significato disponibilità a basso costo (ticket e non per tutti) del bene primario: la salute.
Nell’immaginario collettivo ha prevalso l’idea che “più prestazioni” equivalesse a “più salute”; peccato non poterle “stoccare” per i momenti di magra!
Poi visto che c’era concorrenza nell’accaparramento – liste d’attesa – la prestazione è diventata il vero bene primario più che lo stato di salute/benessere in quanto tale. Proprio come hanno sempre postulato gli aziendalisti: il valore delle risorse scarse determina la legge che “più bassa è l’offerta più alto è il prezzo”.
La congiuntura è stata favorevole: il cittadino a caccia di prestazioni per compensare il naturale bisogno di salute, i sanitari incentivati anche economicamente a produrle e metterle sul piano dell’offerta, il sistema privato a fare concorrenza e a “straprodurre”, il politico a valutare con un solo click la reattività e la performance del suo sistema; e da ultimo gli aziendalisti che hanno trovato un senso alle teorie gestionali, nonché un ruolo nel panorama sanitario con gli algoritmi di misurazione e di valorizzazione dei costi.
La tempesta perfetta!
I “poveri medici di famiglia”attanagliati dalle pressioni degli assistiti: se prescrivi la prestazione vuol dire che ti occupi di me, quindi, sono importante per te e per il contesto sociale -ovvero- dammi la prestazione se no cambio medico.
Ma dov’è la salute?
Presto il consumo della prestazione che non ha prodotto benessere richiama, anzi esige un’altra prestazione, più invasiva, più dirimente, più costosa e più, più, più, nel circolo vizioso del meccanismo domanda-offerta che mal si addice al contesto sanitario.
La governance sanitaria è allora intervenuta nel contesto equilibrando il meccanismo della domanda-offerta con l’introduzione del concetto di appropriatezza delle prestazioni.
Le società scientifiche hanno elaborato linee guida per quasi tutte le prestazioni a forte impatto organizzativo ed economico e si è cercato di tenere in vita il sistema dei consumi, pena la sopravvivenza stessa del sistema.
La magica parola d’ordine, “appropriatezza”, ha visto per anni i medici confrontarsi con questo concetto nelle disposizioni, nei budget e in ogni momento della loro attività.
Da una parte il “mercato” promuove il consumo, dall’altra il sistema promuove il contenimento del consumo sulla base delle evidenze generali dell’appropriatezza.
Il “perno di scarico”, come ben capite, è sempre il medico prescrittore.
L’appropriatezza ha mitigato ma non ha risolto il problema.
Intanto i sistemi sanitari, le aziende sanitarie, sono valutate prioritariamente in base alle liste d’attesa delle prestazioni e, se lunghe e fuori dai parametri istituzionali, si procede ai piani di rientro con ulteriori immissioni di risorse e soprattutto con l’adozione di ulteriori procedimenti burocratici per i medici al fine di perfezionare il sistema delle liste d’attesa oggetto di valutazione.
Federico Spadonaro, Presidente CREA Sanità – nel 2019 abbozza una voce fuori dal coro con molto garbo :
In questi ultimi tempi le liste d’attesa si sono “rinforzate” a causa delle prestazioni non effettuate nel corso della pandemia e comunque ridotte per i tempi più lunghi relativi alla sanificazione degli ambulatori.
Certo molti problemi ne sono derivati; i pazienti sono arrivati alla diagnosi in fase più avanzata con le relative conseguenze prognostiche soprattutto in campo oncologico, ma queste non sono le prestazioni offerte a CUP.
La messa a disposizione complessiva dell’offerta delle prestazioni attraverso il sistema unico CUP è essenziale per l’organizzazione affinché possa programmare il percorso specifico per il singolo cittadino, ciò che invece è destabilizzante è la “mercificazione” derivata che si è rivelata foriera di maggiori problemi sia organizzativi (aumento improprio della domanda) che di credibilità del sistema verso la popolazione.
Pensiamo che le prestazioni a 30/60 giorni siano tout court la risposta ai bisogni di salute della popolazione? O che le prestazioni di “recupero” causa Covid dopo 6, 8, 12 mesi abbiano la valenza della presa in carico della salute del cittadino da parte del SSN?
La sanità è molto più complessa e il sistema è decisamente più articolato sui bisogni e relative risposte; il punto cruciale è che il cittadino da solo non è in grado di costruire un percorso di salute autonomamente rivolgendosi al “mercato” dell’offerta.
Dobbiamo farcene una ragione!
Il cittadino ha bisogno della “presa in cura”, non della “prestazione”. Il sistema si deve far carico della presa in carico complessiva del cittadino, non della erogazione di singole prestazioni. In quest’ottica, opportunamente, la Regione Emilia Romagna sta mettendo in campo disposizioni organizzative sulla presa in carico.
Pertanto il sistema CUP deve essere interno all’organizzazione affinché gli operatori sanitari possano far incontrare realmente la domanda con l’offerta e gestire il sistema delle priorità e del dimensionamento dell’offerta; mentre il cittadino deve avere un unico interlocutore: il medico di fiducia o il case manager associato.
E’ qui che il cittadino, con la sua opportunità di scelta deve interfacciarsi per avere soluzioni al proprio problema; ed il sistema deve gestire risorse ed opportunità per soddisfare il bisogno reale dello stesso.
La politica deve rinunciare a forme di pseudo valutazioni del sistema attraverso le liste di attesa delle prestazioni e stressare il sistema di valutazione delle performance con algoritmi più predittivi oggi a disposizione.
Come ha rilevato il Ministro Speranza in una recente intervista:
Quindi Signor Ministro in questo momento storico per la sanità italiana, quasi pari a quello della riforma 833 del ’78, facciamo una profonda revisione dei meccanismi di valutazione dei servizi eliminando sistemi di facile rilevazione ma forieri di deviazioni del sistema che impattano negativamente sulla burocratizzazione del ruolo dei sanitari e creano facili incomprensioni con i cittadini.
Oggi la scienza dell’organizzazione sanitaria ha messo a disposizione sistemi multidimensionali, più specifici e predittivi della qualità, sicurezza e performance dei servizi offerti e della soddisfazione del cittadino. Adottiamoli anche se non così immediati nella lettura ma sicuramente più realistici nella rappresentazione.
Liberiamo i cittadini dal prestazionismo che ad oggi ha creato scarso valore per la salute e grande sfiducia nel sistema, incentivando il mercato della salute.