Durante uno dei tanti viaggi che ho fatto nel Maramures —regione del nord della Romania, a due passi dall’Ucraina — alla (ri)scoperta del mio Paese di origine, ho incontrato il vasaio e scultore Daniel Les, discendente dei Daci, l’antica popolazione danubiana.
Raccontami di te…
Ho imparato il mestiere di vasaio da mio padre, che faceva anche il pittore. Quando ero piccolo, mi chiamava mentre preparava un grande vaso e mi diceva: “Quando farai un vaso come questo, allora sarai un vasaio”. Questa frase mi ha accompagnato per tanti anni, finché non sono cresciuto e ho fatto un vaso più grande.
Come nascono le tue opere?
Nascono dalla necessità di raccontare ciò ho vissuto nella mia infanzia in campagna e dal bisogno di conservare i valori con cui sono cresciuto: credo che questi valori possono ancora essere salvati, se tramandati di generazione in generazione.
Che tecnica usi?
Riproduco un’antica tecnica di lavorazione che deriva dai Daci: la ceramica dacica. I vasi di pietra venivano cotti a 1000 gradi, colorati con un pigmento naturale vegetale e lucidati con pelo di pecora. In seguito, decoro i vasi con delle figure umane, che vengono modellate a mano.
L’elemento comune a molte tue opere è il “grido al cielo”. Qual è il messaggio che vuoi trasmettere?
E’ un grido di disperazione che raffiguro sul volto degli anziani: persone sconvolte dalla sparizione dei propri valori e dal vedere velocemente morire tradizioni secolari.
Rappresento, per esempio, il loro dolore per ogni casa di legno — anima del villaggio romeno — venduta, smontata e ricostruita altrove come mero elemento decorativo. Oppure racconto della loro angoscia per l’estinzione dei costumi popolari, con le loro bellissime stoffe, per le quali si utilizzava la canapa, oggi non più coltivabile.
Ma il mio vuole anche essere un messaggio di speranza. Nel mio laboratorio accadono cose meravigliose, che possono cambiare la mia vita, e quella degli altri, attraverso l’arte: l’anima si scioglie, si prepara a morire, per poi rinascere a nuova vita.
Qual è il legame con la tua terra?
Sono nato con le dita letteralmente immerse nella terra del Maramures, con cui lavoro da oltre 40 anni. Penso che per un artista sia fondamentale entrare a contatto con il luogo in cui è nato.
Spesso gli artisti romeni preferiscono andare all’estero, nel tentativo di farsi conoscere; io ho preferito restare nella mia terra, che mi fornisce la pace e l’energia creativa di cui ho bisogno. Sono anche convinto che arriverà un tempo in cui questo luogo rinascerà.
Io voglio essere parte di questa rinascita. Non come una persona che combatte contro i titani dell’economia e della globalizzazione, ma facendo al meglio il mestiere che ho imparato,
Lo coltivo come coloro che me lo hanno insegnato: mio padre, a cui ho promesso che avrei fatto il vasaio per il resto della mia vita, mio nonno e tutti gli artigiani. Insegnerò ai miei figli tutto ciò che so: questo, per me, è un dovere “patriottico”.
Cosa intendi con “patriottico”?
Quando parlo di patriottismo, non mi riferisco al concetto di “nazione”. Penso invece alle strade polverose del mio villaggio, Tulghesul Ardealului; ai bufali, a mio zio Ghiran che mi portava nel bosco sul carro trainato dal suo puledro.
Penso ai mestieri del vasaio, del zoccolaio, del feldsher: (i cosiddetti “medici scalzi” — termine di origine cinese: 赤脚医生,chìjiǎo yīshēng), contadini con formazione medica che lavoravano nei villaggi rurali, lontani dalle cure disponibili nelle città.
Mio nonno era uno di loro: ricordo quanto io e i miei fratelli eravamo felici di vedere un paziente entrare dal cancello. Sapevamo che, mentre venivano curati, il nonno avrebbe raccontato loro una storia,
Tutto ciò è rimasto vivo nella mia memoria. Con le mie opere, con la terra, io continuo a raccontare quella storia.