L’università è uno dei grandi “buchi neri” dell’universo riminese, un piccolo universo parallelo non comunicante con la città. Inizia con questa sciabolata di un ex-docente il monitoraggio di quella realtà, confidando che da questo primo squarcio possa finalmente fluire una comunicazione continua di analisi e proposte da parte dei nostri lettori, docenti, studenti o semplici cittadini che siano.
Il primo insediamento universitario, a Rimini, risale agli inizi degli anni ’90, quando furono attivati due corsi triennali (diploma universitario): uno in “Operatore di Costume e Moda”, l’altro in “Tecniche Forestali e Tecnologie del Legno”. Di lì a poco, 1996, altri diplomi vengono attivati e riguardano Economia, Statistica/Informatica, etc.
Certamente non hanno una forte immagine dal punto di vista culturale, così come sottolineato da la Repubblica (15/07/1996), che li etichetta come “I Superdiplomi Scorciatoia verso il posto”. Nello stesso periodo, 1997, il Ministero vara la Laurea Breve (triennale), dando la possibilità alle Università di attivare Corsi in sedi distaccate.
Le linee guida per questa rivoluzione universitaria ha lo scopo di decongestionare i maxi atenei, puntando però su nuovi indirizzi con contenuti innovativi, alta qualità dell’istruzione e, soprattutto, mirati a rispondere ad una esigenza culturale e produttiva dei territori ove questi corsi sarebbero sorti.
In altre parole, l’Università “periferica” sarebbe dovuta diventare il luogo di un apporto culturale, tecnico e scientifico, per la realtà produttiva del territorio (Università Ricerca UR, Anno VIII – 1997 Ed. Ministero Ricerca Scientifica e Tecnologica).
Cos’è successo a Rimini? Dei primi due Diplomi insediatisi, quello riguardante Moda venne trasformato in Corso di laurea, mentre il diploma legato al mondo del Legno fu cancellato. Nascono in compenso diversi e variegati corsi di laurea e/o master, in Economia, Statistica, Farmacia… e chi più ne ha più ne metta (Il Sole24 ore, 02/07/1997).
Questi corsi rispondono alle linee guida del Ministero? Ovvero, tengono conto delle esigenze reali del territorio? La domanda è valida ancora oggi.
Quali sono le motivazioni per l’istituzione di due corsi di laurea in Moda? Era talmente d’interesse che solo quest’anno un drappello di circa undici docenti si è incardinato presso il Dipartimento delle Arti con sede a Bologna, restando loro solo l’impegno didattico a Rimini, e non della ricerca (ma poi, quale ricerca?).
Ciò non sorprende, poiché sin dagli albori era evidente che Rimini e il suo territorio, non era certamente vocato all’Haute Couture, se non per gli originari finanziamenti della cattolichina Alberta Ferretti!
Stesse considerazioni per Farmacia e suoi derivati. Anche questo corso, già da due anni, non è più afferente al Polo riminese, ma altro non è che un corso dislocato a Rimini del corso di laurea in Farmacia di Bologna.
Nel frattempo è stato inventato il corso di “Pharmacy”, dettato in lingua inglese, facendolo credere diverso da quello di Farmacia in italiano solo per attirare studenti stranieri nella chimera di un’internazionalizzazione del Polo Riminese.
Il numero di studenti varia tra gli 80 e i 100, che potrebbe essere un numero congruo, peccato che circa il 90% siano studenti Iraniani, che vuoi per le condizioni restrittive dovute al Covid vuoi per altri motivi non risultano presenti sul territorio, laddove le esigenze didattiche di un corso di laurea come quello prevedrebbero una nutrita necessità laboratoriale.
Che poi il corso non abbia alcun appeal per gli studenti italiani è confermato dalla loro pressoché totale assenza! Pertanto, credo sia da ritenersi un inutile investimento sia di risorse umane che finanziarie, non contribuendo in alcun modo all’avanzamento culturale del Polo Riminese.
Altri Corsi sono passati come meteore, come “Controllo di Qualità dei Prodotti per la Salute”; titolo pomposo ma privo di ogni interesse territoriale nell’ottica dei dettami della direttiva ministeriale.
Cosa concludere da tutto ciò?
Che mentre gli altri Poli Romagnoli hanno un’identità ben precisa, così a Forlì “Meccanica, Aeronautica, Scienze Politiche, Scuola Interpreti”, a Cesena “Informatica, Biomedica, Agraria, Telecomunicazioni, etc.”, noi a Rimini cosa abbiamo da offrire?
Infine, ma certamente non è l’ultimo dei problemi, si deve evidenziare che in oltre 25 anni di permanenza sul territorio riminese l’interazione culturale Università/Città è pressoché inesistente.
Il motivo deve essere ricercato nel fatto che non vi è stato alcun radicamento del personale docente sul territorio: la maggior parte di esso ha infatti interessi prevalenti a Bologna ed è “in trasferta” a Rimini solo con l’obbiettivo ultimo di tornare a casa quanto prima.
Ma Rimini sembra consolarsi della deficienza culturale della propria Sede universitaria con l’inconsistente sogno felliniano che trabocca ovunque.