I dubbi del filosofo, l’intelligenza del virus

di Gina Ancora

Circa un anno fa, un bravo filosofo delle religioni, Giorgio Agamben, e con lui altri filosofi e sociologi di stazza, si chiedevano: “Perché i media e le autorità si adoperano per diffondere un clima di panico, provocando un vero e proprio stato di eccezione, con gravi limitazioni dei movimenti e una sospensione del normale funzionamento delle condizioni di vita e di lavoro in intere regioni?”

Che fosse una domanda retorica lo si poteva intuire dalla rapidità con cui, nelle righe sottostanti, seguivano due nette risposte circa la “tendenza crescente a usare lo stato di eccezione come paradigma normale di governo” e la presenza di uno “stato di paura” che si traduce in un vero e proprio bisogno di stati di panico collettivo…”.

Si parlava di sproporzione tra le misure messe in atto e i dati scientifici, riportando che ’dai dati epidemiologici oggi disponibili su decine di migliaia di casi, [il Covid] causa sintomi lievi/moderati (una specie di influenza) nell’80-90% dei casi”; “solo un 4% dei pazienti richiede ricovero in terapia intensiva” . Sintetica informazione, potente conclusione.

Provando però ad aprire appena un po’ la finestra dell’informazione possiamo trovare che “una qualche specie di influenza”, da tutti sperimentata almeno una volta nella vita, nell’inverno 2018-2019 ha colpito 8.072.000 di persone, con 205 decessi (0.025 per mille); il Covid, benché  almeno 2-3 volte più contagioso dell’influenza, ha colpito da inizio pandemia (circa 2 anni), “solo” 6.266.939 persone, grazie alla messa in atto di  imponenti misure socio-sanitarie, davvero  senza precedenti, volte a limitarne la diffusione.

Dov’è la saggezza che abbiamo perduto sapendo? Dov’è la sapienza che abbiamo perduto nell’informazione?

E ciononostante, sono morte 137.513 persone, con una mortalità 100 volte superiore rispetto a quella dell’influenza! I ricoveri in terapia intensiva, specie nella fase pre-vaccino, hanno messo a dura prova la tenuta del sistema ospedaliero nel nostro Paese: si è sperimentata una grave insufficienza di posti letto di terapia intensiva durante le varie ondate pandemiche, con parallela insufficienza di personale sanitario, sia in ospedale che sul territorio; e la conseguente necessità di “riservare” posti letto e personale sanitario ai malati di Covid, riducendo le risorse disponibili per le attività di prevenzione e cura delle  altre malattie, specie quelle cardiovascolari, oncologiche e perinatali.

Nel frattempo, gli studi sul nuovo Coronavirus, seppur non ancora conclusivi, sono progrediti rapidamente, ponendo la sfida costante, sia in ambito professionale che di politica sanitaria, della loro interpretazione . Si tratta infatti  di massimizzare il rapporto beneficio/rischio di qualsiasi scelta di carattere socio-sanitario ― rispettando i principi bioetici di prudenza, solidarietà, sussidiarietà e ricerca del bene comune ― aldilà di qualsiasi ideologia. Tutto ciò in un Servizio Sanitario Nazionale che, sebbene si fondi sui principi di accesso universale ed ugualitario alle cure, lavora con risorse limitate per dare risposte a domande di salute illimitate.


L’infodemia

Accanto a questo approccio istituzionale si è diffuso, ahimé, un approccio più ideologico, che ha contestato la restituzione della realtà dei fatti, i contenuti informativi e la metodologia della scienza medica ufficiale.

Questa pandemia, per le condizioni di contesto in cui si è sviluppata, caratterizzate da affollamento del pianeta, grande facilità degli spostamenti e  ampie possibilità di comunicazione, è divenuta così rapidamente anche una “infodemia”, in cui si è assottigliato lo spazio per le domande vere, quelle che scavano per accogliere  risposte vere; e si è invece ipertrofizzato lo spazio per le risposte-informazioni, con non pochi  cortocircuiti sulle fonti e decisamente troppi vaniloqui di presunti esperti in conflitto gli uni con gli altri.

E’ in questo contesto che hanno potuto attecchire inclinazioni ideologiche, negazioniste e complottistiche, dove informazioni veloci e incomplete, prese a prestito da altri settori di competenze, fungono da base (e forse anche da pretesto) per affermare l’”idea” rispetto alla “realtà”. Come dire che a volte fa più danno “l’infodemia” della pandemia vera e propria.

Diceva Thomas S. Eliot nei Cori de La Rocca: “Dov’è la saggezza che abbiamo perduto sapendo? Dov’è la sapienza che abbiamo perduto nell’informazione?”. In questo complesso scenario, informazioni isolate non sono sufficienti. Occorrono informazioni integrate; informazioni che possono a loro volta non essere sufficienti per la conoscenza: occorre anche l’esperienza. Ma la sola conoscenza può anch’essa non essere sufficiente per affrontare una sfida che partendo dalla salute coinvolge la vita economica e sociale di tutti: occorre anche la saggezza!

Per affrontare questo delicato momento vi è pertanto necessità del contributo di tanti, scienziati, personale sanitario, economisti, filosofi, storici in grado di fornire risposte competenti, esplicitandone il livello di imperfezione, a domande oneste, prive di pregiudizi, che aiutino ad affrontare la malattia e la paura, ad alimentare la fiducia e la speranza e a salvaguardare la relazione e la vita quotidiana di ciascuno. Uno schema sistemico in cui ciascuno esplode le sue competenze riservando un ascolto curioso a quelle altrui.

Questo potrà aiutarci a traghettare questa fase, contando anche ― forse ― sulla intelligenza del virus che alla fine capirà come fare ad adattarsi e a diffondersi il più possibile, ma senza danneggiare in maniera irreversibile il suo ospite, vale a dire la “sua casa”…