Mi domando cosa possono pensare i concittadini riminesi che avessero l’avventura di imbattersi, oggi, in una testata come questa, cui abbiamo dato vita dopo una competizione elettorale che avrebbe dovuto ri-disegnare il panorama politico-culturale del “dopo Gnassi”.
Certamente si domanderanno cosa c’entrino quel lungo saggio sulla “cultura dei capelli afro” o le pur splendide immagini che corredano il diario di guerra (una delle tante) di Monica Lanfranco sulle parole delle donne mai ascoltate, o il poema “Todo Cambia“, o qualunque altro pezzo pescato a caso fra quelli usciti nei pochi mesi da quando quel numero, 5835, divenuto “testata”, avrebbe voluto rappresentare la sintesi estrema di ogni minoranza degna di questo nome.
Disabituati ormai a pensare, come siamo, plasmati fin nell’anima dal raffinato progetto dis-educativo della televisione di Stato, che intontisce e obnubila le nostre capacità critiche, distratti dai titoli di “cronaca” dei giornali e dai più gustosi siparietti dell’ennesima riproposizione della donna tagliata a pezzetti da parte del suo insospettabile vicino di casa, incapaci di capire se le fosse comuni in Ucraina siano orrori veri o opera di una perversa propaganda, sentendoci come ubriachi che vedono ormai doppio, un Presidente eroe da soap opera e un altro che si pretende “vero” e chiama Capi di Stato e Papi come se non avesse fatto altro nella vita mentre il suo rivale, Putin, resta impassibile dietro gigantesche scrivanie, ebbene, diciamocelo, non riusciamo più a pensare che tutto questo possa essere davvero “realtà”, complessità di elementi che formano la coscienza di una collettività.
Tentare di orientarsi in questa faticosa complessità è ciò che si chiama cultura.
Sullo sfondo, in piccolo, appena accennato, come in un quadro di Piero della Francesca , si intravede il profilo delle vicende riminesi, i suoi rancori, le sue speranze, le sue potenzialità. Ecco, nell’affresco che stiamo cercando di disegnare, vorremmo riuscire a inserire anche appena un abbozzo, un pizzico di quel lievito che ci piacerebbe chiamare cultura della città.
Anzi, vorremmo che la cultura di governo della nostra città si alimentasse di queste nostre apparenti “divagazioni minoritarie”, assolvendoci con formula piena, se possibile, da ogni sospetto di andare “fuori tema”.
Buona Pasqua a tutti i nostri Lettori!