Niente da sindacare sulla genialità di Gianluca Gori e del suo alter ego Drusilla, simbolo massimo “dell’irriverenza antiborghese” odierna, che può permettersi di partecipare a programmi come “Show Must Go Off” di Serena Dandini o essere scritturata da Ferzan Ozpetek per una parte del film “Magnifica presenza”.
Nella realtà quotidiana assistiamo però all’ennesimo paradosso che vede contrapposte da una parte delle figure conclamate, inserite nell’ambiente dello spettacolo e/o della moda, mentre dall’altra persone comuni che hanno paura di essere giudicate o “condannate”, o genitori che non devono mai condannare i propri figli, come ha affermato anche recentemente Papa Francesco nel corso di una sua udienza.
Nel nostro tessuto sociale operano delle minoranze che creano gli strumenti per auto-aiutarsi e sostenersi. Una di queste è A.GE.D.O Rimini Cesena per la Romagna, un’associazione di genitori, parenti e amici di persone omosessuali, che opera per aiutare e sostenere quei genitori che vivono uno stato di disagio e di sofferenza per la scoperta dell’omosessualità dei propri figli. Un’organizzazione senza scopo di lucro con una presidente (Mara Bruschi) e un consiglio direttivo (Cinzia, Carla e Angelo), apartitica, aconfessionale, antirazzista, pacifista, la cui sede nazionale è a Milano.
Abbiamo parlato con una figura di riferimento, Tina Scelsi: moglie, madre, lavoratrice, volontaria e vice-presidente dell’organizzazione di volontariato appunto A.GE.D.O Romagna, nonché rappresentante della stessa associazione nel Forum Regionale delle Associazione dei Genitori della Scuola (Fo.R.A.G.S.).
Lei e gli altri volontari di A.GE.D.O Rimini Cesena promuovono eventi e incontri territoriali con lo scopo di sensibilizzare l’opinione pubblica sui diritti civili e sui cambiamenti sociali che riguardano l’inclusione e l’accoglienza delle persone gay (nel senso più ampio della parola): la vita “normale” è ben diversa infatti dagli show televisivi, dai reality, da un film a lieto fine o dalla vita mondana dli stilisti blasonati (a cui tutto può esser concesso).
Non sono specialisti e nemmeno titolati, ma condividono il vissuto personale per dare conforto, sostegno e modi concreti a chi si trova in delicati momenti di difficoltà come appunto quello di venire a conoscenza che il proprio figlio è gay/lesbica/bisessuale, ecc…
Tina è in primis un genitore, elemento fondamentale della famiglia tradizionale. Ha vissuto il coming out del proprio figlio, accogliendolo consapevolmente (si potrebbe dire a cuore aperto) senza falsi problemi, al contempo cercando di difendere i suoi diritti di essere umano.
“Quando capita ― riportiamo le parole di Tina ― la storia ha mille risvolti: se da una parte ci sono famiglie accoglienti e inclusive (soprattutto le ultime generazioni), sappiamo per contro che ci sono famiglie bigotte e discriminanti.
Essere preparati dipende molto dal modello culturale e dalla predisposizione ad accogliere nuove forme di sessualità in cui si identificano i figli, superando quei tabù tramandati nel corso del tempo. Questo significa essere disposti a veder evolvere il concetto tradizionale della famiglia”.
Un genitore ― quello che ama il proprio figlio così com’è ― ha paura di non riuscire a garantire protezione, affetto, cura e sicurezza in una società spesso omofoba e ancora immatura verso queste realtà, “c’è il senso di inadeguatezza e la fobia del giudizio degli altri, che portano alcune di queste famiglie a isolarsi. A queste si somma la visione secolarizzata della Chiesa sulla cultura dell’omosessualità, considerata al pari di una malattia psicologica”.
Come fare?
Dipende un po’ da tutti e anche dalla vocazione di un territorio a essere gay-friendly. Rimini è stata da tantissimi anni il punto strategico del divertimento ma anche un territorio che ha prestato attenzione ai valori delle persone con fragilità, alla parità di genere, all’etica del lavoro inclusivo, tanto da incentivare un turismo volto a migliorare la società in cui viviamo. Anche il nuovo progetto “School’s Out” è un’iniziativa che porterà alla sensibilizzazione delle tematiche LGBTQI+, più in particolare la prevenzione della violenza di genere e delle discriminazioni in tutte le loro forme.
La visione di Tina è molto precisa soprattutto sul capitolo Scuola. “Alla scuola odierna spetterebbe il compito di fornire supporti adeguati affinché ogni persona sviluppi un’identità consapevole e aperta, in piena attuazione dei principi di uguaglianza e rispetto delle differenze tra tutte le identità.
Il bullismo omofobico nasce dai modelli che si sono tramandati nel corso del tempo e nei nuclei educativi (famiglia compresa) ma anche dalla società che non ha strumenti per contrastare queste tendenze. Si manifesta nel linguaggio, con la derisione, con l’ingiuria, con la violenza verbale oppure con una condotta passiva. Occorrerebbe, invece, riconoscere l’omosessualità come variante dell’eterosessualità e non come una malattia”.
Quello scolastico è in effetti l’ambiente in cui si verificano con più frequenza atti di bullismo razziale/di genere e aggressioni verbali. Ammonire questi ragazzi, facendo loro capire la gravità delle azioni compiute sulla psiche della vittima, sarebbe un impegno minimo da richiedere agli educatori e ai genitori dei bulli. C’è una bibliografia sterminata sul bullismo omofobico analizzato da tutti i punti di vista ma di questi libri se ne vedono pochi sui banchi di scuola.
“Proprio nell’età adolescenziale ― continua Tina ― i ragazzi cercano di essere protagonisti e oggi trovano maggiore potere attraverso i social e la rete, strumento potentissimo con cui condividere quanto fatto con centinaia di loro amici e conoscenti. Questi ragazzi stanno vivendo un grande disagio, frutto della progressiva perdita dei valori basilari e dell’attuale isolamento dovuto a Covid-19; quindi sono fragili, privati della loro socialità e relazione pubblica, che si isolano attraverso l’universo virtuale di Internet”.
Grandi problemi, grandi temi, troppo spesso assenti dal dibattito politico, zeppo di luoghi comuni.