Un identico corpo in movimento può essere interpretato in modi differenti, a seconda di come vengano lette la sua andatura, la sua direzione e la sua dinamica interiore, in una parola in base alla misurazione del suo specifico ritmo.
Questo non è volare, questo è cadere con stile (Toy Story 1)
I lettori delle Tesi di filosofia della storia di Walter Benjamin e della sua nota interpretazione del quadro Angelus novus di Paul Klee sanno che anche l’angelo della teologia cristiana può mutare significato e diventare un’icona misteriosa, persino inquietante.
Prendiamo ora il corpo di un’altra figura familiare, ossia il clown. Se lo si vedesse coinvolto in un ritmo differente, si manifesterebbe la medesima misteriosa ambiguità e la sua stessa capacità di far ridere acquisterebbe un significato diverso.
Questa breve premessa permette di contestualizzare la danza di Jump! della compagnia Operabianco, che coinvolge Marta Bichisao e Vincenzo Schino in quanto coreografi, Samuel Nicola Fuscà e Luca Piomponi nel ruolo di clowns giovani, C.L. Grugher e Simone Scibilia nei panni di clowns anziani. Oggetto della loro indagine è, del resto, il significato del ritmo comico e la sua capacità di poter andare oltre la dimensione dell’intrattenimento, portando a conoscere qualcosa di profondo su noi stessi. Ridere sarebbe in tal senso un’attività filosofica, mentre la danza ritmica che suscita la nostra risata sarebbe paragonabile a un processo di conoscenza scientifica.
Per chiarire la questione, sarebbe anzitutto utile partire da un breve ma denso saggio di Schino, dal titolo Caduta e sollevamento – pubblicato in C. Tafuri, D. Beronio (a cura di), Teatro Akropolis: Testimonianze, ricerca, azioni, AkropolisLibri, Genova 2021, pp. 12-15.
Prescindendo dai singoli esempi portati dall’artista, che includono il cortometraggio The Band Concert della Disney del 1935 (p. 12), Buster Keaton (p. 14) e Fellini (p. 15), l’argomento che viene sviluppato è che il «ritmo» del comico sia il «suono della relazione, il campo di forze che permette il dialogo tra solitudini», così come un movimento che «influenza la forma dei corpi» (p. 12). Il dialogo tra le «solitudini» di questi quattro corpi si articola, poi, entro due direttive complementari.
Da un lato, il clown danza con «ostinazione», perché il suo movimento non si esaurisce mai. Dopo un’iniziale fallimentare caduta nel cercare di spiccare un volo aggraziato, egli ritenta una seconda volta, poi una terza, infine una quarta, e così via all’infinito, generando così un ritmo «fisicamente coinvolgente» per lo spettatore (pp. 13-14).
Dall’altro, il comico è detto essere ciò che permette «di entrare in contatto con l’essenza dell’umano» non malgrado il disastro, bensì proprio grazie al disastro (p. 13).
Si ride, infatti, in virtù della capacità del performer di perseguire con «ostinazione» il desiderio di volare, nel mentre continua inesorabilmente e ridicolmente a cadere. Schino sintetizza con nitore questo concetto di Jump! quando scrive:
Il disastro e la tragedia nel comico diventano un mezzo per conoscersi, per scoprirsi e per scoprire gli altri, per entrare in una forma di comunicazione che non ha tempo di stare a pensare, deve agire, deve muovere il corpo, deve fare una capriola e se quella capriola fa ridere è per empatia, non per consenso.
I riferimenti alla «tragedia nel comico» e all’«empatia» sono eloquenti, oltre che stranianti. Dire che c’è un sottofondo “tragico” nella comicità sarebbe contraddittorio nell’ambito controllabile della logica dei generi letterari, non nella vita e nella danza, in cui è impossibile separare il dolore della consapevolezza di aver fallito con il piacere di riprovare ancora e ancora, dopo ogni sorda caduta. La figura del clown è comicamente tragica o solenne, poiché la sua risata è indissolubilmente legata al limite e alla morte.
Quanto all’«empatia», essa è la passione che consente alla solitudine del pubblico di comunicare con le solitudini dei danzatori di Jump! e di riconoscere che l’essenza della clownerie non è troppo diversa dalla sostanza di cui è fatta la nostra esistenza. Il clown è pertanto un simbolo comico della tragedia di esistere. Il risultato di questo ragionamento su Jump! (ma anche di Jump! stesso) sembrerebbe esser in fondo nichilistico.
Ciò che emerge è la desolante immagine dell’essere umano sia giovane sia vecchio che non può superare i propri limiti. Si tratta, tuttavia, di una conclusione che emerge solo esaltando il lato tragico su quello comico, in altri termini qualcosa che emerge dalla restrizione volontaria dello sguardo.
È possibile, infatti, anche operare in senso contrario: si può intravedere, nell’inesausto ritmo del salto seguito da caduta, il segno positivo della libertà umana, che non si arrende al limite contro cui pure si scontra. Il nichilismo interpreta il clown in modo “comicamente tragico”. La lettura non-nichilista lo legge, invece, in maniera “tragicamente comica”, ossia appunto esaltando il lato comico o felice di vivere immersi nella tragedia.
Il clown e lo spettatore imparano a guardare la tragedia con inspiegabile allegria.